Vent’anni fa ci lasciava Umberto Bindi, uno dei più grandi musicisti e cantautori italiani, escluso dalle grandi scene per la sua omosessualità

Nasce nel 1932 a Bogliasco, alle porte di Genova, «la cicala» Umberto Bindi. A otto anni è già seduto al piano. Si innamora dell’opera lirica, ma a dodici scrive operette. A venti conosce Gino Paoli e Bruno Lauzi e con quest’ultimo nasce davvero una grande amicizia. Tramite Paoli conosce anche quel potente e colto amico che da solo è mezzo pop italiano: quel Nanni Ricordi, produttore discografico e fondatore nel 1958 della Dischi Ricordi, che tenterà per anni di aiutarlo nella sua fragilità. In Bindi troviamo influenze pucciniane, ma anche di tutto il melodramma. Il conservatorio lo rende musicista colto e in seguito cantautore anomalo, un musicista puro alla ricerca continua di autori letterari adatti alle sue note importanti. Con Georges Moustaki scrive il bolero Riviera. Con Giorgio Calabrese, suo massimo complice, sono anni di successi a partire da È vero, per arrivare alle indimenticabili Arrivederci e ll nostro concerto. Siamo a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, il momento in cui la musica italiana sta cambiando radicalmente.
Con Giorgio Calabrese sono anni di successi, da È vero alle indimenticabili Arrivederci e ll nostro concerto. Siamo a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, e la musica italiana sta cambiando radicalmente

Nel 1958 Modugno vinceva a Sanremo con Nel blu dipinto di blu: iniziava allora, in fin dei conti, la storia della canzone d’autore nel nostro Paese. Poi la scuola genovese, di cui Bindi fu parte, avrebbe spianato la strada ai Vecchioni, i Guccini, i Dalla e i De Gregori.

Se Arrivederci è stupenda e, non a caso, Don Marino Barreto la rende celebre nel mondo (l’ha cantata anche Chet Baker), Il nostro concerto è una vera e propria provocazione per la musica leggera. Nasce che sembra un’opera di Čajkovskij e prosegue in tre parti crescenti che sono una vera sinfonia. Con Il mio mondo (1963), scritta insieme all’amico Paoli, Bindi arriva anche in America: la canzone, tradotta in inglese da Carl Sigman, è interpretata da artisti del calibro di Tom Jones e Dionne Warwick, e raggiunge il primo posto nelle classifiche di Regno Unito, Olanda o Australia. Ormai, Modugno a parte, è l’unico nostro cantante internazionale, amato persino dai Beatles. Con Lauzi scrive una perla espressionista come Io e il mare, con dentro tutto l’amore per Genova e il suo mare. La musica è finita (1967)  è un altro capolavoro: il testo di Califano e Nisa è perfetto per un’ennesima perla che anche Ornella Vanoni fa sua. Lo stesso Califano ne fa il clou di ogni sua esibizione per decenni.

E allora, perché un artista che è ai massimi livelli durante tutti gli anni Sessanta si trova di punto in bianco con gravissimi problemi di emarginazione che diventano poi ancor più gravemente economici? Perché Umberto, a differenza di molti suoi celebri colleghi, si scusa per la sua «diversità» (leggi omosessualità), permettendo all’Italietta bigotta di processarlo ed emarginarlo sempre più. Quando Bindi perde l’adorata madre, con lei perde anche la testa, rovinandosi di debiti e finendo nelle braccia degli usurai. Praticamente scompare dalle scene, accontentandosi di campare con spettacolini nei ristoranti e piccole partecipazioni televisive. Lui che negli anni Sessanta girava per il Tirreno, con mamma, orchestra e macchinoni a cinque milioni di lire a sera… Le grandi cantanti italiane tentano di aiutarlo dedicandogli un album ma, a dire il vero, con poco successo. Nel 1972 scrive una vera e propria drammatica confessione con Io e la musica, bellissimo brano con cui sembra voler chiedere perdono al mondo per la sua vita difficile. Claudio Baglioni lo rilancia per un attimo con la sua potentissima versione de Il nostro concerto. Gli anni Ottanta sono i peggiori per Bindi. Tenta di tornare al Festival di Sanremo con pezzi all’altezza, ma il Belpaese pop non lo perdona. Bindi si chiude sempre più in se stesso e nei suoi problemi.

Arriva il 1990 e ho la fortuna di essere alla prima rassegna di Musicultura, il festival che sta nascendo a Recanati. Con Enrico Ruggeri, Teresa De Sio, Stefano Rosso, Bindi e Sergio Endrigo si parte per la patria di Leopardi. Alle 21 il cinemino dove si svolge la rassegna è pieno zeppo. Io, che mi trovo nella doppia veste di cantautore e giornalista, sono seduto in prima fila con Vincenzo Mollica e Gino Castaldo. Quando tocca a Bindi, a differenza di noi tutti con la musica suonata dal vivo, l’autore di perle come Arrivederci va di basi. Ci vergogniamo che un genio del genere sia ridotto così, ma gli applausi dopo Il mio mondo e Il nostro concerto sono delle vere e proprie standing ovation. A cena poi mi dice: «Ma lo sai che scrivi delle belle cose?». Detto fatto.

Due giorni dopo sono nel suo attico a Roma Monteverde, con terrazza infinita e pappagalli, a parlare di nuove canzoni. Per dieci anni scriverò per lui passando i mesi a cercare di tirarlo fuori dal casino in cui si è messo da decenni. Umberto suona e io chiudo gli occhi e scrivo… Pianoforte e Imperdonabile sono le prime liriche che gli taglio addosso. Sono, se volete, ritratti duri e impietosi della «cicala» Bindi. Di un uomo che, invece di usare in positivo la sua omosessualità come molti hanno fatto, dalla metà degli anni Sessanta si incolpa, si discolpa e si rovina da solo, sempre di più dopo che il mondo pop sanremese lo ha cacciato per sempre perché «diverso».

Un uomo che, invece di usare in positivo la sua omosessualità come molti hanno fatto, dalla metà degli anni Sessanta si incolpa, si discolpa e si rovina da solo, dopo che il mondo pop sanremese lo ha cacciato per sempre perché “diverso”

Umberto non reagisce e si intristisce. Provano ad aiutarlo i vecchi amici Paoli e Lauzi. Calabrese prova a scrivere altre Arrivederci, ma i momenti d’oro della Bussola e del maestro a bordo delle spider con mamma impellicciata e ingioiellata e orchestra non tornano più. I tempi sono cambiati. Radicalmente. Cento volte prova a tornare nel giro, ma le porte sono sempre chiuse. L’unico che mi aiuta nel tentativo di riportare sulle scene Bindi è Maurizio Costanzo: con Bruno Martino andiamo spesso a fargli sentire le nostre cose nuove. Teatri, teatrini, ospitate… pure Iva Zanicchi e Orietta Berti, oltre a Baglioni, riprendono Il nostro concerto. Califano canta sempre La musica è finita, di cui è autore letterario, ma niente. Le porte continuano a essere sbarrate per Umberto.

In quegli anni Bindi vive ormai sul lago di Bracciano e io lo raggiungo con gli amici. Lui è felice così: in vestaglia, piano a coda, vista sul lago, pesto coi fagiolini per tutti, ogni tanto un prestito, ristoranti, qualche festa de l’Unità che gli rimedio… Lo Stato gli trattiene il 90% della Siae perché Umberto da decenni non paga le tasse. Umberto è pieno di amici cravattari, come si dice a Roma. È sempre più povero, ma mitico, più «maledetto» di Ciampi. Al mio fianco ho solo Lauzi. Paoli ci vuole bene, ma mi dice di lasciar perdere: «Ernesto, Umberto è un vanesio». Allora, insieme a mia sorella, provo perfino a metter su un musical, ma Bindi salta gli appuntamenti. Contatto anche Renato Zero e con Fonopoli, la sua etichetta discografica, prova a realizzare le nostre cose. Finalmente, invitano di nuovo Bindi a Sanremo: Pippo Baudo attende Umberto come un vero evento, ma il maestro finisce ultimo, anche perché l’abbinamento coi New Trolls è sbagliatissimo. Renato Zero si storce e lo molla. E il disco, già in lavorazione, rimane incompiuto. Gli anni Novanta volano via. Sommerso di debiti e con sempre più gravi problemi di salute, Umberto muore, dimenticato da tutti, il 23 maggio del 2002.

Ecco perché con l’aiuto dell’amico Alberto Zeppieri ho voluto realizzare, insieme a tanti artisti come Bungaro, Grazia Di Michele, Franco Simone, Giovanna Famulari o Vittorio De Scalzi, Ritratti d’autore, il disco con il nostro lavoro decennale. A causa del Covid, solo recentemente ho potuto, con l’aiuto del premio Tenco e del premio Bindi, portare in scena a Roma lo spettacolo per il ventennale della scomparsa di uno dei più grandi musicisti e cantautori italiani di sempre.

di Ernesto Bassignano
25 MAGGIO 2022, www.rivistailmulino.it