Nel suo viaggio in America il presidente Draghi ha incontrati vertici istituzionali del paese e di fronte a loro ha avviato una riflessione su un processo di integrazione atlantica fra la politica europea e quella degli Usa. Partendo da un dato: la guerra esplosa il 24 di febbraio ha modificato il suo carattere iniziale, da uno scontro per la modifica dei rapporti territoriali che vedeva un Golia e un David, ora si è trasformata. Il Golia si è ridotto. Vedremo in che proporzione hanno contato gli aiuti occidentali e la capacità patriottica di resistenza degli ucraini. Fatto sta che l’Ucraina resiste e mantiene posizioni di equilibrio bellico.
Tutto questo, dice Draghi, ha cambiato la qualità della guerra. Quella guerra territoriale è diventata una moltiplicazione di conflitti sul piano globale. Non è solo guerra “calda”, armata ma pone una serie di problemi irrisolti, di cui gli organismi internazionali non hanno saputo antevedere gli effetti devastanti. Penso al tema della frontiera europea a est della Nato che si è spostata verso la Russia e che di nuovo tende ad espandersi, con la richiesta di adesione di Finlandia e Svezia. Siamo alla vigilia, sul piano globale, di una serie di conflitti per regolare un nuovo equilibrio. Sul terreno della ricerca, della tecnologia e su quello delle monete. Per rafforzare la posizione strategica della Russia, è in corso l’assalto del rublo. Era stato già preparato con immense riserve auree, e con la garanzia delle riserve naturali del gas e del petrolio. Ritengo che uno degli argomenti che spinge Draghi a una operazione di integrazione atlantica è il comune destino di difendere il dollaro e l’euro dagli assalti del rublo oggi, della moneta cinese e indiana domani.
Eppure a Draghi sembra sfuggire un punto. L’integrazione delle politiche atlantiche trova un punto di debolezza nell’interno dell’Europa per l’influenza delle forze populistiche e dissolutrici. Esempio importante è la Francia: cinque anni fa Macron dette l’avvio alla disgregazione del sistema francese assaltando le grandi formazioni storiche della democrazia presidenziale, socialisti e gaullisti. Ora, alla fine del quinquennio, quando si è trovato a chiedere un secondo mandato, ha dovuto prendere atto che la distruzione dei partiti ha prodotto dei mostri: ha diviso il popolo fra il rivoluzionarismo verboso di Mélenchon e l’avventurismo populistico plebeo e sociale di LePen. Tanto che, di fronte a questo risultato, Macron ha promesso una cesura con le politiche sociali del suo stesso quinquennio.
In Italia oggi Draghi assomiglia molto al primo Macron, cioè quello che contribuisce alla distruzione del sistema politico, cioè della democrazia organizzata e delle istituzioni democratiche parlamentari. Quando usa il “noi” parla come fosse un presidente della Repubblica eletto non da un popolo che non c’è ma dalla disgregazione di un popolo che c’è. Ora non si tratta di chiedere che Draghi venga in parlamento a dirci delle armi che inviamo all’Ucraina, come chiedono i Cinque stelle, o di cosa si è davvero detto con Biden. Il problema la disgregazione della democrazia organizzata in questa fase nuova fase.
Ci vorrebbe il coraggio che ebbe Cossiga nell’aprile del 92 quando, dimettendosi in anticipo da presidente della Repubblica, disse ai partiti “non avete capito niente dello sconvolgimento dell’89” e li schiaffeggiò. Draghi venga in parlamento con coraggio a dire che il sistema politico e istituzionale italiano è fragile. Prepari il ricorso alla consultazione popolare. Altrimenti alla prossima curva avremo non la vittoria del populismo che abbiamo conosciuto, ma di un sistema di alternativa fra due populismio, uno verboso pseudorivoluzionario della sinistra al traino dei Cinque stelle, e l’altro del ribellismo sociale velleitario della destra. Il nostro paese ne uscirebbe emarginato, prima dall’Europa e poi dal sistema atlantico. Non c’è che una strada per evitarlo: dire con verità che la nostra democrazia organizzata richiede un intervento profondo e sostanziale. L’integralismo atlantico va bene se l’Europa ha soggetti nazionali forti e robusti nelle loro istituzioni e nella loro democrazia.
Rino Formica, Il Riformista, 15 maggio 2022
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Mi permetto di dissentire e propongo le mie considerazioni in proposito:
https://ilquadernodiet.blogspot.com/2022/05/il-campione.html